Seduta di fronte al suo
schermo
col
viso viscoso, verde, putrido.
Lunghi
fili di bava s’allungano
fra
i suoi polpastrelli e la tastiera.
I
nervi del collo,
fasci
di nervi,
si
tendono strappando la sua pelle
incartapecorita.
Il
suo corpo è rigido,
fermo.
Macchina
di ossa
fottuta
dalla città che le sta intorno.
Il
cuore batte lento, per poi impazzire
e
aprire nuovi squarci sulla sua pelle.
Saltano
i tendini.
E
i suoi piedi, palmati e melmosi,
s’intravedono
ancora benché piantati
fin
dentro al suolo
dal
fascio di possenti radici
che
lei ha per gambe.
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