L'Uomo Arancia

Letteratura d'assalto. In crisi. Dal 1989

CONFESSIONI DI UN IMPRENDITORE

Cammina goffo
vagando per i mobili della mia cucina
Io lo guardo incuriosito
sbragato
gambe aperte sul mio divano bianco e nero
A un certo punto lui mi vede
s’accorge di me
così mi alzo e vado a prenderlo
Lui non fugge, anzi
è contento perché sente la mia attenzione
sente su di sé
lo sguardo di colui cui può finalmente rendersi utile
Ha la speranza di dimostrare le proprie capacità
Lo guardo sorridente, ma senza amore
né rispetto alcuno
È solo uno dei tanti
Gli passo davanti
Apro uno sportello
Estraggo lo strumento che rappresenta la sua stessa morte
senza che lui ne sappia nulla
è il suo lavoro

Mi guarda
fiero e orgoglioso
onesto nell’espressione seria
spaventato per dover affrontare quello che molti suoi simili hanno vissuto
per avere in cambio l’illusione di una morte utile

Lo prendo per la buccia
Lo sollevo per la schiena
Lo vedo che si dimena, che tenta di gridare
But I don’t hear him
so I don’t care
Poi finalmente lo spremiagrumi lo infilza
lo riempie
glielo schiaccio contro
contro il suo petto morbido
contro il suo cuore succoso
che sprizza sangue da tutte le parti

Dopo tanti sforzi vani
smette finalmente di muoversi
Non è morto
non ancora
è solo immobilizzato dalla funzione che era tanto fiero di esercitare
ma che gli si rivela ora
purtroppo
fatale
Ma ormai è troppo tardi per potersene pentire

Così l’uomo arancia è stato spremuto
per poi venire scaraventato esanime
(ché la sua anima me la son bevuta io)

nella rancida pattumiera dell’umido.

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