L'Uomo Arancia

Letteratura d'assalto. In crisi. Dal 1989

RIENTRO

 

Da lontano si intravedevano, tra le forti gocce di pioggia che si scagliavano violentemente sul robusto finestrino, le tante luci del piccolo aeroporto di Newcastle, da cui Alessandro stava per partire. Era una buia mattina non troppo fredda di inizio dicembre, periodo in cui il sole, nel Nord dell’Inghilterra, spunta piuttosto tardi rispetto all’Europa Meridionale. A quell’ora poi, circa le sette del mattino, non permette a nessuno dei suoi raggi di sdraiarsi sulla brina depositata sui verdi prati britannici.

Alessandro aveva appena passato due splendidi mesi a Newcastle: aveva lì conosciuto tanti ragazzi provenienti da tutto il mondo, con cui aveva fatto bellissime esperienze e visitato nuovi posti. E proprio l’insieme di questi elementi aveva dato alla città un fascino superiore a quello che forse le avrebbe attribuito un turista rimasto lì per una settimana. Si sentiva già nostalgico di quei giovani con cui aveva trascorso la maggior parte della sua vita inglese e che gli avevano organizzato, la sera prima della sua partenza, un party tipicamente Geordie tra fiumi di birra, risate e musica fino a notte fonda. Era quindi tornato a casa molto tardi e si era svegliato, per poter raggiungere l’aeroporto in tempo, solo un’ora dopo essersi coricato.

Doveva ora rientrare in Italia per riprendere gli studi e sperare di ritornare, in un futuro più o meno lontano, in Northumbria.

Il rumore delle gocce d’acqua che gli si scagliavano sul finestrino accanto lo accompagnavano nel viaggio di rientro, e quasi lo consolavano per il triste momento che stava attraversando.

Ad un certo punto i potenti motori dell’aereo, da cui osservava attentamente ogni particolare di quella terra cui tanto si era affezionato, iniziarono a salire di giri. Il momento della partenza, fissato per le 7:20, si avvicinava inesorabilmente e ogni secondo che lentamente passava dava come dei colpi secchi e risoluti al cuore del giovane, i cui respiri si facevano sempre più veloci. I suoi occhi, stanchi per la folle lunga notte passata, cercavano con tutte le loro forze di cacciare al loro interno quelle grosse lacrime che provavano ad uscire per liberarlo dal pesante groppo che aveva alla gola. Continuava a scrutare i pochi e minimi movimenti che si sviluppavano attorno alla pista di decollo: gli operai che si allontanavano dall’aereo facendo un “OK” con la mano al pilota; i gruppetti di piccioni che mangiucchiavano qua e là sotto i capannoni ai lati della pista di decollo; altri viaggiatori che si apprestavano a salire su un altro aereo della stessa compagnia. Ogni piccolo particolare assumeva un valore speciale per la particolarità del momento, ma la forte nostalgia delle care persone che con ogni probabilità non avrebbe più rivisto lo turbava con inesorabile violenza.

Nell’istante in cui lo sportello dell’aereo venne chiuso, di colpo la pioggia si calmò, diventando fine e leggera. Quasi impercettibile. Si sentivano ora solo minimamente le goccioline che battevano sul finestrino.

D’un tratto il mezzo iniziò a muoversi: movimenti lenti, inizialmente.

Tutto ha una fine, diceva sempre Alessandro: hanno una fine le brutte cose ma hanno una fine anche quelle belle. Era la vita e lui l’aveva capito, ma ogni metro che l’aereo lentamente e pesantemente percorreva riportava al giovane un ricordo diverso: i suoi fedeli amici e le serate con loro trascorse nei pub; la simpatica famiglia che lo ospitava e le cene speciali che venivano preparate di domenica; i suoi tanti compagni di scuola e le loro curiose storie appartenenti a paesi e culture nuove e stranissime.

L’aereo continuava a spostarsi, raggiungendo pian piano la pista di decollo; intanto le hostess mostravano le uscite di sicurezza ai passeggeri e compivano la solita dimostrazione informandoli su cosa fare in caso d’emergenza.

Alessandro non le guardava. Era stanco, e seguitava a combattere insistentemente con la voglia di piangere che stava per farlo esplodere; era in procinto di tornare nel suo mondo, da cui era partito e dove era cresciuto: si sarebbe dovuto nuovamente immergere nell’assidua alternanza tra studio e lavoro, senza più avere la possibilità di sfruttare il suo tempo magnificamente come aveva fatto negli ultimi mesi: il pensiero era triste, e peggiorava ogni secondo. Si sentiva sempre più lontano dalla vicina vita inglese, e sempre più vicino alla lontana vita italiana. Situazione paradossale che si vive ad ogni occasione di rientro.

L’aereo, nel frattempo, si era fermato. Era giunto oramai all’inizio della pista di decollo, e si apprestava a sfogare tutta la potenza dei suoi motori per decollare definitivamente.

Era quello che aspettava con ansia il triste ragazzo: via il dente, via il dolore e la sua sofferenza sarebbe terminata, pensava lui, dopo che avrebbe rivisto i suoi genitori, i suoi amici, i suoi parenti. Raccontando tutto a tutti, non avrebbe fatto che rivivere da lontano i felici momenti trascorsi e si sarebbe certamente sentito meglio. Ma nel presente non faceva che girare e rigirare attorno alla sua bella vita nordeuropea, totalmente diversa rispetto a quella condotta in Italia. Ma ormai era rassegnato.

Improvvisamente l’assordante rombo dei motori che iniziavano a spingere con potenza inaudita il bestione alato troncò ogni pensiero.

Una lacrima scese dagli stanchi e rossi occhi di Alessandro. Pensava senza interruzione e ripetutamente alla notte appena trascorsa: al pianto delle sue amiche, agli abbracci e agli affettuosi good-bye degli amici. Tutti si erano affezionati fortemente l’uno all’altro.

C’era, però, qualcos’altro che aumentava ulteriormente il battito del cuore del ragazzo: la paura di volare. Nonostante fosse un grande amante dei viaggi, egli aveva un autentico terrore di volare. L’aereo gli faceva sudare freddo. Lo faceva irrigidire sul sedile al momento del decollo e gli faceva chiudere gli occhi mentre l’aereo prendeva quota. E questo timore riemerse proprio durante l’improvvisa accelerazione iniziata qualche attimo prima. La partenza era per lui una cosa da far accapponare la pelle. Poi, in volo, mentre tanti ridono, scherzano e giocano, Alessandro ruminava di continuo il pensiero di avere una decina di chilometri sotto ai piedi. Proprio questa preoccupazione, che l’aveva tormentato per gran parte di ogni suo viaggio, lo rendeva ulteriormente agitato e nervoso.

L’urlo dei motori era ormai diventato insopportabile, ma i giri continuavano ad aumentare. Lui si sentiva compresso sul sedile. Con la testa che premeva con sempre più forza la spalliera del suo posto. Le mani stringevano i braccioli, e le gambe erano saldamente appoggiate al pavimento. I motori acceleravano tanto che sembrava volessero scoppiare per liberare tutta la loro potenza esplosiva che faceva sfrecciare quell’agile mezzo. Le luci delle costruzioni dell’aeroporto scorrevano sempre più rapidamente di fronte al finestrino del giovane. Lui stava immobile, quasi in apnea. Il battito del suo cuore era a mille, e a mille erano i motori.

L’aereo aveva raggiunto ormai il massimo della sua velocità. I motori non potevano aumentare il loro urlo. Non riuscivano a sfogare altra potenza: era il momento del decollo.

Finalmente aprì cautamente gli occhi; sbirciò fuori.

L’aereo aveva staccato la ruota anteriore dal suolo. Ed ecco che Alessandro, sempre rigido sulla sua poltroncina, sbarrò gli occhi.

Scintille dall’ala.

Oh, my God! – Si sentì urlare da dietro.

Istantaneamente, l’aereo diede un brusco colpo in basso e iniziò una frenata urlante da far terrorizzare tutti i passeggeri.

Molti dei viaggiatori sbatterono la loro testa sul sedile dinanzi a loro. Altri si misero a gridare per lo spavento. I bambini si misero a piangere. Lui rimase assolutamente immobile. Terrificato.

L’ala era quasi in fiamme. Le ruote striscianti sulla pista emettevano un grido stridulo ed assordante. Tutto faceva pensare ad un terribile incidente aereo che avrebbe fatto rientrare il muso del mezzo chissà quanto. Che avrebbe ucciso tutti quelli che fossero stati coinvolti.

All’interno dell’aereo si percepiva un’irrespirabile puzza di bruciato; fuori si notava il fumo bianco che veniva prodotto dai freni, mentre l’ala continuava a bruciare.

Tutto durò pochi secondi, ma furono abbastanza per terrorizzare a morte ogni passeggero.

L’aereo rallentò con forza e rumorosamente ma poi, subito dopo, fortunatamente si fermò.

Tutti subirono un forte spavento, ma niente di più e dopo qualche minuto si udì la voce del comandante che, dall’interfono, parlava direttamente con i suoi passeggeri. Inizialmente si scusò per lo spavento causato poi, quando si trattava di annunciare la causa dell’incidente, si mise, sorprendentemente, a ridere.

A quel punto tutti rimasero esterrefatti, sentendo il comandante allegro e rassicurante.

Alessandro non cambiò espressione.

Dei piccioni, che stavano mangiando sulla pista di decollo, essendo stati spaventati – logicamente – dall’arrivo del veloce mostro volante, erano scappati sollevandosi tutti insieme, ed il problema fu che alcuni di essi vennero investiti, finendo all’interno del radiatore dell’ala sinistra dell’aeromobile. Quest’intrusione causò un guasto ai motori dell’ala sinistra che a sua volta, emettendo tanto fumo e vistose scintille, scatenò un tremendo, momentaneo panico sul comandante – che decise di bloccare con tutta la forza dei freni le ruote dell’aereo – e sui passeggeri – che non sapendo cosa stesse succedendo si terrorizzarono almeno due volte tanto.

Il ragazzo e i suoi compagni d’avventura vennero fatti scendere dallo sfortunato mezzo e dovettero aspettare, per quasi tre ore, nella sala d’attesa dell’aeroporto per poi tentare, spaventati, una nuova partenza.

Con lo stesso aereo…

Nessun commento:

Posta un commento