L'Uomo Arancia

Letteratura d'assalto. In crisi. Dal 1989

L'ASSALTO

Adolphe era un signore sulla cinquantina. Era nato e cresciuto a Bordeaux, sull'Oceano Atlantico, e la passione per il mare, per chi ci è nato vicino, è naturale e spontanea. A quindici anni, la sua famiglia si era dovuta spostare a Marsiglia per via del trasferimento della compagnia in cui suo padre lavorava. Si trattava di una compagnia navale, perciò tutti avevano la tranquillità di non doversi mai staccare dal mare e dalle attività ad esso legate. Adolphe adorava pescare, certo, ma non solo. Amava prendere il largo con la barca del padre e godere del silenzio del mare. Farsi cullare dalle onde. Lo faceva spesso, e a Marsiglia ne ebbe ancora più occasione. Non aveva tanti amici, lì, e il ricordo della sua compagnia di Bordeaux, per qualche tempo, gli era bastato. Viveva abbastanza solitario non perché fosse riluttante nei confronti dell'altra gente, o perché fosse antipatico, ma era semplicemente disinteressato ad allacciare nuovi rapporti umani. Uno, però, lo allacciò. E fu quello che gli portò la felicità più grande. All'età di ventidue anni si era sposato con Marie, che le aveva dato alla luce la bellissima Louise, sua figlia. All'epoca di questa storia, però, Adolphe non aveva più una famiglia perché gli era stata portata via forse nel peggiore dei modi che possa esserci. La moglie era stata uccisa durante una rapina all'interno della sua gioielleria, ereditata dai genitori. Una rapina mano armata, nella periferia di Marsiglia, i cui artefici erano stati arrestati e rimessi in libertà dopo poco tempo. La figlia invece, Louise, a soli dodici anni, due anni dopo la morte della madre, era stata uccisa dopo essere stata stuprata. Era stata rubata alla vita nel fiore della giovinezza, nel periodo più bello e più intenso che un essere umano possa vivere: l'adolescenza. Adolphe era caduto in una crisi depressiva che gli era costata anni di terapia, ma era finalmente riuscito a superare quel terribile periodo. Il lavoro presso lo stesso cantiere navale in cui lavorava tempo prima il padre gli permise di ricominciare a pensare anche ad altro. Aveva ripreso ad andare a pesca con gli amici, che lo presero in considerazione molto più di quando Adolphe poteva avere una sua vita privata in famiglia. Erano tutti molto gentili con lui, perché lui era sempre stato molto gentile con loro. L'aggettivo che lo poteva qualificare meglio di qualunque altro era “onesto”. Non riusciva a mentire, diceva sempre la verità e, nei fatti, non sapeva essere ipocrita. Aveva capito, dopo qualche brutta reazione, che forse talvolta era meglio cucirsi la bocca e tenersi i suoi commenti per se stesso, ma non aveva mai frequentato una persona che non gli era piaciuta fin dal primo momento. Se quella persona insisteva nel volerlo con sé, allora lui si scaricava ogni responsabilità, e gli diceva il fatto suo. Dopo l'uccisione della moglie prima e della figlia poi, comunque, Adolphe non era più tornato ad essere la persona di un tempo. Era guarito, certo, ma lui non si riteneva completamente libero da ciò che l'aveva portato al limite della follia. Aveva provato a farsi un auto-esame, e aveva raggiunto una reale consapevolezza. L'unica cosa che gli era rimasta di quell'esperienza, oltre al terribile ricordo, era l'odio feroce nei confronti di chiunque avesse fatto del male ad una donna. Era sempre stato un romantico, e le donne le aveva sempre stimate e adorate nel senso più alto e nobile. Ma l'uccisione della moglie e lo stupro e la morte della figlia appena dodicenne gli avevano generato questo sentimento di ira. Era, questo, l'unico che non riuscisse a controllare. Durante i mesi di depressione aveva anche rischiato la perdita totale della ragione, ma era stato curato, stava bene. Aveva solo questo problema. Era un omone alto e forzuto, per cui sarebbe anche riuscito a mettersi nei guai, se avesse fatto uscire questo suo lato incontrollabile in pubblico. Eppure una volta accadde che questo suo trauma psicologico venisse a galla in tutta la sua distruttiva violenza. Era andato, per lavoro, in Italia, dove aveva già portato in vacanza la sua famiglia. Conosceva perfettamente tutto il Paese, e lo adorava in tutta la sua interezza, in tutta la sua complessità. Una notte, mentre leggeva un romanzo a letto, prima di addormentarsi, sentì delle urla provenienti dal piano di sopra della struttura. Erano chiaramente urla di una donna. Cercò di calmarsi, come gli aveva detto il suo psicanalista, e di scacciare ogni pensiero negativo. Cercò di pensare ad altro. D'altronde quella ragazza poteva urlare per diversi motivi. Cercò di convincersi del fatto che la probabilità maggiore era che stesse giocando. In albergo, in pieno centro, la cosa potrebbe essere del tutto plausibile. Riprese a leggere. Un altro urlo. Sempre convinto di riuscire a mantenere il totale controllo delle sue azioni, poggiò il libro sul comodino, aperto. Si vestì, con molta calma, e decise di andare ad ispezionare nelle vicinanze della camera da dove sembravano provenire quelle urla. È vero, quella donna poteva essere nel mezzo di un gioco col suo compagno, ma poteva anche stare male. L'albergo era bello, ma non di primissimo ordine. Non amava il lusso, e preferiva stare nel modesto, come in ogni altra attività della sua vita. Se quella donna avesse avuto bisogno d'aiuto, e nessuno fosse andata a soccorrerla, si sarebbe sentito colpevole chissà per quanto tempo. Salì per le scale, e sentì una ragazza lamentarsi a voce alta. Non si capiva cosa stesse dicendo, ma sembrava parlasse francese. Si avvicinò a quella porta. La donna sembrava piangere. Si iniziarono a sentire dei forti colpi provenire da quella stanza. La donna urlò chiaramente.

Daniel! Daniel, no!!!

Era chiaramente spaventata. A questa frase, seguirono dei forti colpi e la frase, pronunciata stavolta da un uomo – E adesso ti prendi quello che ti meriti, stronza!

Adolphe rimase scioccato. Restò immobile. Stava perdendo il controllo.

Allora, ti piace così? – continuava l'uomo, con voce rabbiosa, mentre la donna continuava a piangere. Ancora colpi, sempre più forti. Adolphe era paralizzato – Ti basta così o vuoi continuare a negare il fatto che sono io, che comando? – Sembrava chiaramente che l'uomo stesse diventando sempre più violento. La donna continuava a piangere – Allora? Ne vuoi ancora? E va bene, te ne do ancora! – altri colpi. Tanti colpi, forti. Sempre più forti. La donna non smetteva di piangere. Ad un certo punto la voce dell'uomo cambiò, diventando molto più tranquilla – Dai, ora smettila di piangere, e vieni a letto. Spegni la luce prima di coricarti.

Adolphe, era rimasto paralizzato per tutto quel tempo, come se una metamorfosi stesse avvenendo dentro di lui. Furioso dall'ira improvvisamente non poté fermare l'automatismo che scattò in lui. Con una violenta spallata sfondò la porta e invase la camera d'albergo in cui si era svolto il pestaggio. Appena dentro, si girò verso la donna. Era una giovane ragazza, bionda, carina. Gli occhi erano rossi dal pianto, e il viso interamente bagnato. Adolphe si scagliò contro l'uomo, anch'egli giovane, sdraiato sul letto. Lo aggredì e, in meno di un minuto, l'aveva strangolato.

***

Allora, ti è piaciuta Roma? Bella, eh?

Ah sì, è davvero una città fantastica...

Già... è un peccato che io non mi ricordi quasi nulla di quando venni, anni fa, da bambino. Avevo appena sette anni, ma non capisco come non sia potuta rimanermi in mente tale magnificenza...

Daniel e Laure erano a Roma da quattro giorni, ormai, e avrebbero dovuto abbandonare la capitale la mattina seguente, per andare a visitare Napoli, ultima città del giro dell'Italia che, finalmente, stavano riuscendo a realizzare. Erano solo due ragazzi rispettivamente di ventitré e ventidue anni, provenienti da Parigi. Parigi centro, non periferia. Vero è che Parigi è talmente grande, che si può essere in centro pure se distanti chilometri dal più vicino dei monumenti della capitale francese. Come ogni francese, erano innamorati della loro città e del loro Paese e, come ogni francese, nutrivano entrambi un sentimento di piccola ostilità nei confronti dell'Italia e del suo popolo. Non si trattava di una forma di razzismo, tuttavia credevano ai numerosi luoghi comuni diffusi in tutto il mondo. Non che gli italiani non gliene avessero mai dato motivo. Un'occasione su tutte fu quella in cui la giovane coppia parigina conobbe un gruppo di tre ragazzi italiani in vacanza in Francia. Nella Costa Azzurra, per la precisione. La Riviera dei francesi. I tre italiani erano molto simpatici e socievoli, e non avevano dato l'impressione né a Daniel né a Laure di essere i “tipici italiani”. Certo, avevano il sorriso stampato in faccia. E, certo, ridevano sonoramente e parlavano ancora più forte, ma non sembravano imbroglioni, né bugiardi, né troppo pieni di sé. Dopo aver trascorso un intero pomeriggio in spiaggia insieme, essendosi conosciuti per caso fortuito, la sera si incontrarono nuovamente sulla Promenade des Anglais, il bellissimo lungomare di Nizza, e fu lì che sia Daniel che Laure compresero che Alberto, uno dei tre ragazzi italiani, ci stava provando con Laure. La sfacciataggine dimostrata in quel caso, nonché l'ipocrisia e la falsità nei confronti di Daniel fece raccapricciare i due giovani francesi, tanto da abbandonare il gruppetto di stranieri e starsene per conto proprio, a rimuginare sull'assurdità del caso. Sommando questo misfatto alle piccolezze cui avevano assistito in passato, e ai racconti sentiti in terza, quarta, quinta persona, l'idea che si erano fatti degli italiani assunse un tono quasi esclusivamente negativo. Nonostante ciò, non detestavano gli italiani tanto da rifiutarsi una visita al Bel Paese. Laure aveva studiato italiano per tre anni durante gli anni di Scuola Superiore, Daniel studiava letteratura all'Università, ed era appassionato di quanto ricca fosse quella italiana. In fondo, entrambi adoravano l'Italia, compreso il modo di vivere, ma da buoni nordeuropei ne detestavano il disordine, la disorganizzazione, la totale mancanza di schematicità. Erano giunti a Roma dopo aver visitato Milano, Venezia e Firenze. Erano rimasti colpiti, a parte l'effettiva bellezza dei rispettivi centri storici, dalla straordinaria diversità che l'Italia poteva presentare nell'architettura, nella lingua, nella storia, nel clima. A Roma avevano trovato quanto di più grandioso potevano aspettarsi, e anche la tipicità italiana era emersa in tutti i suoi lati. Positivi e negativi. Il sole e il bel clima, ad Aprile, a Roma sono sempre presenti, e per coloro che vi giungono dal Nord dell'Europa come i nostri due protagonisti, non è una cosa da poco. La disorganizzazione tipica dell'Italia, anche quella, si era fatta notare con forza specialmente quando Daniel e Laure avevano avuto la cattiva idea di spostarsi a Roma con i mezzi di trasporto. Che fosse la metropolitana, che fossero gli autobus, che fosse il taxi, niente funzionava bene, lì. Ma avevano anche goduto del sorriso dei romani, popolo simpatico e giocoso; avevano assistito alla grandezza della storia italiana, quella più antica, visitando Piazza del Popolo, il Pantheon, la Fontana di Trevi, i Fori Imperiali e il Colosseo. Erano stati a Piazza Navona, avevano percorso la Via Aurelia, la Via Salaria e avevano ammirato tutto ciò che di più antico Roma potesse offrirgli. Avevano visto Piazza Venezia che, seppure recente, presenta la bellissima costruzione dell'Altare della Patria. Erano stati a Piazza di Spagna, al Pincio, a Castel Sant'Angelo e a Piazza San Pietro. Qui si erano un po' spaventati per il lusso sfrenato presentato così sfacciatamente dalla Santa Sede della Chiesa Cattolica. Una contraddizione palese che continua a non spaventare e a non stupire gran parte di coloro che credono nella carità e nella ricchezza dell'umiltà. L'albergo era situato non distante dalla Stazione Termini, in pieno centro. Avevano scoperto, dopo il primo giorno di prigionia nel traffico delle strade romane, di poter raggiungere tutto a piedi. Bastava solo avere voglia di camminare un bel po', e a Roma la voglia viene facilmente. Tutto ciò che si attraversa è bello e permette di respirare un tempo più o meno lontano. L'albergo, dicevamo, era in pieno centro situato all'interno di un antico palazzo. I due giovani non avevano grosse pretese, facevano solo un lavoro part-time per potersi godere la vita anche al di fuori degli studi. Anche Laure, oltre a Daniel, studiava all'Università. Ma si era dedicata alle discipline scientifiche, continuando a nutrire la passione per la cultura generale per conto suo.

Negli alberghi vecchi c'è sempre un qualcosa che non funziona. E stavolta mi permetto di dire che ciò non accade esclusivamente in Italia, ma un po' in tutto il mondo. È normale, d'altronde, che qualcosa sfugga all'occhio, quando una struttura ha tanto da controllare. Quello che accadde in questo albergo ai nostri due protagonisti fu causato, fondamentalmente, da un fatto terribilmente spiacevole, ma che pochi di noi non hanno affrontato. Durante la loro ultima notte, coi bagagli già pronti per poter, l'indomani mattina, prendere il primo treno in partenza per Napoli, Laure udì un lievissimo rumore all'interno della stanza. Mantenne gli occhi chiusi, cercando di addormentarsi. Le veniva sempre difficile addormentarsi la notte prima di una partenza. Non si sentiva agitata, ma evidentemente lo era. La paura di non svegliarsi per qualche motivo, e l'eccitazione di vedere posti nuovi generano spesso emozioni simili. Cause, appunto, d'insonnia. Il rumore, dicevo, diventò presto ben più forte per via di una busta trasparente in nylon che era scivolata giù sul pavimento, e che iniziò a vibrare, come se qualcosa la stesse muovendo. Incuriosita, e noncurante di Daniel che, accanto a lei, dormiva beatamente incurante di tutto, Laure accese la luce e, quello che vide, fu una delle visioni più terribili che potesse avere. Una enorme blatta si era infilata dentro la busta di nylon, dove i due avevano comprato del pane, per procurarsi un lauto pasto. Laure odiava le blatte. Non le stavano antipatiche. Semplicemente non riusciva a concepirne l'esistenza. Bisogna ammettere, d'altronde, che sono degli insetti un po' viscidi e fastidiosi, sia alla vista che all'olfatto. Al tatto, non saprei dire. Ma ci tengo a preservare la mia ignoranza, in questo caso. Ciò che una ragazza terrorizzata dalle blatte fa in situazioni come quelle, non deriva dalla sua volontarietà né consapevolezza. Laure cominciò a strillare. Saranno state le undici di notte, i due erano già a letto per potersi riposare prima della partenza, ma di certo ci sarà stato qualcuno sveglio, nell'albergo. All'urlo di Laure, Daniel si svegliò di soprassalto.

Che succede? – esclamò, grattandosi gli occhi accecati dalla luce che Laure aveva acceso – Che è successo? – continuò, confuso e guardando Laure per assicurarsi che fosse tutta intera – Stai bene? Cosa c'è?

Una blatta! Eccola! Eccola!

La blatta nel frattempo era uscita di corsa dalla busta di nylon, avvertendo forse una strana tensione nell'aria, ma più probabilmente spaventata dalla luce.

Ammazzala! – urlò Laure – Uccidila! Schiacciala!

Daniel si era appena svegliato, e la blatta era in quel momento decisamente più rapida di lui. Non sapeva bene cosa fare, anche perché non è che lui li adorasse, quegli esseri. Facevano schifo anche a lui, solo non tanto da strillare nel mezzo della notte rischiando di far venire un collasso alla persona che gli dorme accanto. La prima idea che ebbe in mente fu quella di prendere la scarpa per schiacciarla, ma la blatta era sparita.

Eccola! È lì! – suggerì Laure, nel pieno di un'agitazione al limite del nevrotico. Indicava un angolo buio della stanza, ed effettivamente quel povero insetto aveva trovato solo quello, di posto facilmente raggiungibile per ripararsi dalla minaccia che aveva avvertito come reale. Daniel, allora, coraggiosamente gli andò incontro e, mentre gli scagliava il colpo con la suola della scarpa, la blatta si mosse. Nonostante il suo tentativo di fuga, però, “BAM!”.

Presa! – disse Daniel, decisamente più vicino allo stato di sonnambulismo che di veglia effettiva.

Ora raccoglila.

Raccoglila. Raccogliere una blatta è ancora peggio che ucciderla. Ma si doveva fare. Si sa. La blatta mangia nelle fogne, nelle fogne c'è la merda. Una volta che la si schiaccia, tutta quella robaccia salta fuori. E puzza, naturalmente. Due tovaglioli di carta. Uno, piegato in quattro, per coprire la blatta. Un altro per prendere il tovagliolo piegato in quattro, prendere l'insetto che sarebbe rimasto lì in mezzo e gettarlo nella stessa busta in cui stava cercando il cibo. Questo era il piano. Al lancio del primo pezzo di carta, però, appena questo piombò sull'insetto, quest'ultimo partì a razzo sulla parete. In fuga, come se niente fosse successo. È da immaginare la reazione dei nostri due protagonisti. Laure urlò nuovamente, Daniel, finalmente, si svegliò e indietreggiò di scatto, spaventato. Aveva di fronte un avversario ben più tosto di quanto non immaginasse. Laure era in preda al panico e iniziò a piagnucolare con voce stridula e sofferente. Daniel riprese la scarpa e riprese ad affrontare lo spaventoso insetto. Questo aveva la parte retrostante schiacciata, con le interiora che fuoriuscivano e che si trascinava, apparentemente senza accusare la ferita. Daniel le si avvicinò, col braccio teso pronto a scagliare un secondo, definitivo colpo. Lei si mosse rapidamente, ma di poco, come per assicurarsi il salvataggio. Daniel, però, fu più veloce di lei. Altro colpo.

Presa!

Alla caduta, però, la blatta riprese a correre più veloce di prima, rifugiandosi sotto il letto. Laure piangeva, Daniel non sapeva che fare. I letti degli alberghi vecchi sono pesantissimi, era impensabile spostarlo. Prese allora un dépliant che aveva preso alla stazione, con la cartina di Roma e varie informazioni turistiche. Lo arrotolò e, con la punta di quello, iniziando ad accusare un po' di tensione per essere costretto ad affrontare quell'insetto che non voleva tirare le cuoia, cercò di costringere la blatta ad uscire allo scoperto. Le diede un colpetto, e quella si spostò. Erano movimenti rapidi, i suoi, ma si spostava di poco. Evidentemente si sentiva al sicuro. Daniel continuò, fino a convincere la blatta ad uscire fuori dalla copertura del letto. Corse velocemente verso Laure, che si spaventò indicibilmente.

Daniel! Daniel, no!!! – urlò la ragazza, in preda al panico più mostruoso. Ma Daniel, con un balzo da vero atleta, si girò rapidamente a 180° e, coricandosi sul letto, con la scarpa in mano, colpì fortemente la blatta con la scarpa.

E adesso ti prendi quello che ti meriti, stronza! – urlò Daniel, finalmente soddisfatto di averla presa e sfogando su di quel povero essere tutta la sua ira. Innanzitutto, per avergli causato quella traumatica sveglia; poi per averlo svegliato totalmente. E poi per aver fatto piangere Laure. E poi perché aveva vinto il duello, finalmente, e poteva fare tutto quello che voleva, al cadavere del suo avversario.

Allora, ti piace così? – diceva rabbiosamente, continuando a pestare la scarpa su quello che, ormai, era una poltiglia di roba nera. – Ti basta così o vuoi continuare a negare il fatto che sono io, che comando? – L'orgoglio maschile di Daniel stava prendendo il sopravvento. Si sentiva onnipotente. – Allora? Ne vuoi ancora? E va bene, te ne do ancora!

Continuava a pestare, fino a rendersi conto del pianto di Laure, che finalmente poteva sfogare il terrore e lo schifo provocato dalla blatta.

  • Dai – le disse allora Daniel – ora smettila di piangere, e vieni a letto. Spegni la luce – disse, sistemandosi nella sua metà del letto – prima di coricarti...


Nessun commento:

Posta un commento