L'Uomo Arancia

Letteratura d'assalto. In crisi. Dal 1989

CAMBIO TURNO

 

Era una notte stranamente frizzante di metà marzo, a Cagliari, quando guardavo la pacifica città dall’albergo in cui lavoravo. Aspettavo il cambio, che doveva arrivare a mezzanotte, scrutando la calma Via Roma che sotto i miei occhi si bagnava d’una pioggerellina fitta ed incessante, attraversata da qualche macchina che rompeva quell’intenso silenzio che si era creato.

All’improvviso, alle mie spalle, sentii il rumore della porta d’una camera che si apriva e che, immediatamente dopo, si richiudeva cautamente. Mi girai e vidi, in fondo al corridoio, uno dei tre clienti della stanza n° 2. Apparteneva al gruppetto di operai che stavano in Sardegna per svolgere un certo lavoro di ristrutturazione in uno dei centri commerciali del capoluogo isolano. Erano tre ragazzi sulla trentina, e questo aveva l’aria di essere il più vecchio dei tre. Era uscito dalla sua stanza in pigiama e pantofole perché, mi disse, non riusciva a dormire. Capitava spesso, infatti, che quando un cliente d’albergo non riuscisse a dormire, decidesse di uscire dalla propria stanza e andare a zonzo per la silenziosa ed addormentata struttura, curiosando di qua e di là. E siccome io, essendo l’addetto alla portineria, ero sempre o di qua o di là, il più delle volte questi esploratori solitari decidevano di fermarsi e farmi compagnia.

Presentatosi, iniziò a chiedermi informazioni sull’albergo a cui risposi molto vagamente perché, ripeto, il mio turno stava terminando ed avevo voglia solo di dormire, non certo di fare conoscenze. Ad ogni modo, Pavaluc (questo era il suo nome) fece delle domande che suscitavano in me, essere curioso di natura, una certa voglia di sapere i fatti suoi, ed iniziammo così a parlare piacevolmente del più e del meno. Da questa conversazione scoprii che Pavaluc aveva 36 anni d’età, che era sposato, che aveva una figlia a Civitavecchia e che era in Italia da 15 anni. Io gli chiesi, a quel punto, da dove venisse ed egli mi rispose che era rumeno, di Timişoara, ma che sua moglie era italiana, come anche sua figlia, nata in un paesino nei pressi di Padova. Parlandomi della sua famiglia, prese a parlare anche del suo passato, dicendomi che aveva viaggiato parecchio, avendo vissuto in Inghilterra, Francia e Spagna.

Allora, avendo anch’io visitato quei paesi, gli chiesi quale, tra i quattro (comprendendo l’Italia), gli avesse offerto una vita migliore. Criticando apertamente il Bel Paese per il caos e il disordine, oltre che per lo stress che soffoca la vita delle città, passò in rassegna anche Francia ed Inghilterra, descrivendole sempre da qualche lato negativo e lasciando, come unico paese degno del suo assenso, la Spagna, dov’era stato per tre estati consecutive.

Mi disse a quel punto che in Spagna si guadagnava parecchio meglio rispetto agli altri tre paesi da lui visitati e che, quindi, spesse volte si era recato là per lavorare e per guadagnare qualche soldo. Quando gli chiesi quale mestiere svolgesse, lui mi rispose:

  • Il borsaiolo!

Sapendo che era rumeno e che probabilmente non conosceva benissimo il significato proprio del termine, gli spiegai cosa significasse borsaiolo e a quel punto lui mi rispose, sorridendomi:

Sì! E quello facevo io!

Pavaluc aveva un fortissimo accento romanesco, ma parlandoci per un po’ chiunque si sarebbe accorto della sua provenienza estera, sebbene l’aspetto e i modi corrispondessero pienamente a quelli tipicamente italiani.

Notata la mia espressione mista di stupore e curiosità, Pavaluc decise di continuare la sua storia e di andare a fondo, raccontandomi del suo mestiere di borseggiatore e approdando infine ad un aneddoto che gli successe a Pamplona, città in cui visse per alcuni mesi, il giorno della celebre corsa dei tori, durante la festa di San Firmino.

« La festa di San Fermines – disse, con l’aria di chi ha finalmente trovato qualcuno disposto ad ascoltarlo – se svolge tra il 6 ed il 14 di luglio ed è sicuro la festa più folle che io abbia mai visto. Io ero arrivato ad Iruña – il nome basco di Pamplona, solo nome usato da Pavaluc per nominare la città – il terzo giorno della festa e veramente non immaginavo una cosa simile: ce stavano migliaia de persone tutte vestite de bianco, colla sciarpa rossa e tutte imbriache! Stavo in Plaza de Ayuntamiento ed avevo finito l’acqua perché faceva un caldo della Madonna. Ma vedevo tutte le persone con spumante e quindi, pure io, ero andato a comprarmene una bottiglia. E sai quanto costava? 50 centesimi! – mi disse, avvicinandosi col volto, sbarrando gli occhi e sollevando la mano facendo un “cinque” con le dita – E allora ci credo che erano tutti imbriachi! Tutti quanti se compravano spumante e se lo bevevano come acqua! A un certo punto, dal Municipio sparano il chupinazo, che sono tre colpi de fucile sparati per far iniziare la festa. Da lì inizia il caos generale e tutti quanti urlano e gridano; dalle case gettano acqua e spumante verso la gente e tutti, ma dico tutti, so’ bevuti.

La Basilica de San Ignacio, l’arena, la Calle de Santo Domingo, che sono le parti centrali de Iruña, erano colme de gente e nell’encierro sembravano tutti impazziti! »

A quel punto io, che mai avevo visitato Pamplona e che, pur essendo a conoscenza della famosa corsa dei tori che vi si teneva, ignoravo i nomi di vie e monumenti, gli chiesi di spiegarmi cosa fosse l’encierro, visto che lui lo dava per scontato.

« L’encierro è il punto che va dalla curva che unisce Plaza Consistorial e la Estafeta fino all’arena. Praticamente è la zona della città che viene coinvolta dal passaggio dei tori; una volta poi che i tori entrano dentro l’arena sfidano i toreros nella corrida. »

Pavaluc non parlava perfettamente l’italiano, ma pronunciava le parole spagnole tanto bene che ebbi la netta impressione che conoscesse il castigliano quanto l’italiano, nonostante avesse passato in Spagna molto meno tempo di quanto ne avesse trascorso in Italia. La sua espressione, piena di entusiasmo mentre mi raccontava della Fiesta de San Fermines, mi faceva capire quanto gli fosse piaciuto aver trascorso quei giorni di follia e festa generale.

« Il giorno non so’ rimasto molto in mezzo a quella gente, perché ero stanco e c’avevo voglia soltanto de dormi’. Così me so’ comprato da magna’ e so’ rimasto in giro tutta la notte, aspettando l’indomani mattina per “mettermi a lavora’”. – E qui si mise a ridere, come se volesse farmi capire che si trattava di ragazzate e che oggi non farebbe più quello che aveva fatto da ventenne. – Avevo dormito in una panchina dentro un parco, giusto per riposarmi un po’ e per poter essere attento l’indomani. Perché dovevo guadagna’ i soldi; ormai stavo per smettere di fare quel lavoro là; erano circa cinque anni che rubavo portafogli alla gente e pure, ogni volta che ne “facevo” uno, stavo a trema’ per dieci minuti; volevo smette’. Però mi avevano detto, li amici miei, che a Pamplona se guadagnava molto più che a Barcelona – lo pronunciava in spagnolo – e quindi ce so’ voluto anna’ assolutamente.

Avevo deciso de lavora’ nella zona de Plaza Consistorial, dove se raduna un mucchio di gente per vedere i tori inseguire le persone. Ero giovane e anche un po’ imbriaco, perché con tutto lo spumante che avevo bevuto dalla mattina…!

Me infilo nella mischia e me vedo una signora sui quaranta, cinquant’anni che teneva la borsa aperta. Me so’ avvicinato e, intrufolandomi tra le persone, le sfilo rapidamente il portafoglio che stava là, con un pezzo de fori e me lo metto immediatamente in una tasca interna della giacchetta che indossavo. L’ansia e la paura di esser stato scoperto sono sempre le prime ad arrivare e, infatti, me so’ allontanato il più che potevo da quella signora; mi fermo e faccio l’indifferente. Ma ecco che sento degli spari: la gente inizia ad urlare e a correre come impazzita; a me sale il panico e dove me trovo? Nun me n’ero accorto, ma stavo nell’encierro! Cavolo, non riuscivo quasi a muovermi da quanta gente c’era e allora ho iniziato a correre pure io! Cosa fai? Altrimenti i tori ti ammazzano! Quelle bestie sono grandi quanto cavalli e, se ti beccano, sei fatto! Io volevo uscire dall’encierro ma non potevo perché ero finito nel mezzo e le transenne, più passa gente, più si allontanano, quindi raggiungerle è troppo difficile. In più ero ancora paralizzato dalla paura per aver rubato quel borsellino! A un certo punto mi guardo indietro e mi vedo il primo dei tori che non era più molto lontano da noi; allora decido di correre di lato. So’ caduto a terra e ho buttato giù altre persone, ma io non volevo più correre e vedevo solo le transenne, che stavano ai lati della strada! Finalmente ce l’ho fatta a uscire. Pe’ scavalca’ me so’ dovuto gettare sulle altre persone, che però mi hanno aiutato a usci’, vedendomi con un braccio sanguinante per la caduta e completamente terrorizzato. »

A quel punto, vedendomi tutto preso dalla sua avventura nell’encierro, il cliente rumeno si fece tutto serio e mi disse, con un tono tutt’altro che allegro:

« Ma aspetta, perché nun sai che m’è successo dopo! »

Arrestai a quel punto il mio entusiasmo e lo guardai con curiosità, interrogandolo cogli occhi per sapere cosa gli fosse accaduto in seguito a quell’eccitante avventura.

« La gente se spostava tutta in massa verso l’arena, dove finivano i tori ed io me ne so’ annato il più lontano possibile dall’encierro, dove stava tutta la gente, visto che stavo ancora a trema’ pe’r borsellino rubato. Me so’ trovato in una via tutta deserta, dove nun ce stava nessuno. Ce stava pure ‘na puzza…. Come succede a tutte le piccole vie delle città, no? Quando ce sta molta gente, se la gente è tutta imbriaca, è normale che la città se sporca. Comunque, visto che stavo in una via dove nun ce stava ‘n’anima, ho deciso de continua’ pe’ quella via e ho cominciato a cammina’ senza sapere dove annavo.

A un certo punto me so’guardato ‘ntorno pe’ vede’ se ce stava qualcuno, in modo da poter contare i soldi che stavano ne’r borsellino quando, nella via parallela alla mia, me vedo uno che me guardava con un’aria parecchio strana; me so’ subito rimesso il borsellino in tasca e ho continuato a cammina’ facendo finta de niente. Sai, quando fai cose di questo genere, tutto può sembrarti qualcosa che magari nemmeno è, però ‘sto tipo all’incrocio dopo stava ancora a guarda’ e lì la paura m’è salita ancora de più! Allora, che fai? E me so’ messo a corre’! C’avevo ‘na paura addosso che nun te puoi immagina’! E sai ‘na cosa? Er tipo stava a corre’ pure lui! Me so’ detto: – Voi vedere che me sta a ‘nsegui’ pe’r borsellino rubato? – Ho continuato a corre’ perché in quei momenti non è che c’hai la lucidità de torna’ indietro o cambia’ strada; ho corso verso la fine della via, che ho iniziato a vedere dopo ‘na leggera curva.

Arrivato in fondo – calcola che stavo a tutta velocità e la fifa me faceva correre ancora de più! – me vedo er tipo venirmi addosso. È successo tutto in un attimo: l’ho visto, c’ho sbattuto, so’caduto e me so’ rimesso in piedi. Me so’ detto: – Ora l’ammazzo! – Quando lo vedo arza’ le mani e consegnarme un portafogli. Io me so’ stato zitto, so’ stato un attimo lì a pensa’ e ho capito che pure lui era un borsaiolo! Ma te rendi conto? Stava a pensa’ quello che pensavo io de lui e stava a scappa’ da me! »

A quel punto squillò forte il citofono, che spaventò un po’ tutti e due, immersi com’eravamo nel racconto di quella straordinaria avventura: era arrivato il mio collega che si apprestava a passare la notte alla reception. Andai velocemente ad aprirgli il portone, ma tornai immediatamente indietro per chiedere a Pavaluc la fine del racconto: come aveva reagito in quella circostanza col suo “collega”? Sorridente e facendo percepire un margine di orgoglio e fierezza nel raccontarlo, mi disse:

« E gliel’ho preso, no? »

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